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Lo scandalo Lockheed, l’equazione della corruzione

40 anni fa lo scandalo Lockheed che costò la presidenza della Repubblica a Giovanni Leone e mise sotto inchiesta Moro fino a 13 giorni prima del sequestro.

C’è un’equazione matematica che racconta meglio di mille parole che cos’è la corruzione. L’ha prodotta il prof. Robert Klitgaard, economista di Harvard, Yale e Claremont e recita così: [C=(M+S) – R] dove C è la Corruzione, mentre M è il denaro, S la segretezza dell’azione e la R è la repressione del reato.

È il calcolo che rende corrotti i corruttibili, tanto più è basso il valore di R più il beneficio sarà alto. E quando si parla di acquisti militari, S e M sono a valori stratosferici, perché non è il mercato a fare i prezzi, ma la politica.

Lo scoppio dello scandalo

Sono passati 40 anni, era il 1976 quando la Lockheed, società americana aerospaziale con sede a Burbank, la città di un certo Walt Disney, ammise attraverso i suoi massimi dirigenti di aver pagato tangenti a politici e militari nel mondo per vendere aerei militari. Anche in Italia. Italia che era già un grande cliente della società californiana: 360 “Starfighter F104” erano la punta di diamante della nostra aviazione. Ma la pietra che ha portato a quello che sarà ricordato con lo scandalo Lockheed, scoperta dagli USA come coda della grande Commissione d’inchiesta istituita per il Watergate e che rimbalzò fino a Roma, non furono gli stormi del bellissimo caccia dall’aspetto futurista, ma l’acquisto dei famosi aerei da trasporto Hercules C-130. Ben quattordici ne servivano, così era stato preventivato e messo a Budget dai cinque governi succeduti durante la lunga trattativa che durò tre anni, dal 1968 al 1971.

Quattordici aerei cargo militari, una sessantina di milioni di dollari, una cifra che faceva gola a molti altri costruttori, tutti sbaragliati dalla meravigliosa efficienza operativa del panciuto C-130 Lockheed. Secondo le ammissioni degli stessi manager della fabbrica, venduti con l’aiuto di qualche milione di dollari di tangenti per superare la concorrenza. Ammissioni pronunciate parola per parola davanti alla Commissione Church dal nome del senatore statunitense che la presiedeva, incaricata di far luce sul traffico illecito di milioni di dollari della fabbrica. Le ammissioni furono chiare, per tutti i Paesi coinvolti, anche per l’Italia. Carl Kotchian, il massimo dirigente della Lockheed in quel momento, ammise che altissimi esponenti del governo italiano avevano richiesto e ottenuto tangenti. Grandi cifre, per favorire anche ai danni della FIAT, che concorreva insieme ad altri, l’acquisto dei C-130. Comincia così la caccia all’indiscrezione, trapelano molte informazioni dall’interno della Commissione. Alti funzionari, militari, ministri e addirittura il Presidente del Consiglio: tutti soldi che sarebbero spartiti in nome del generoso colosso americano per arricchimento personale e per finanziare la Democrazia Cristiana.

«Non ci faremo processare nelle piazze!»

Lo scandalo Lockheed esplode in Italia in riferimento agli anni incriminati che vanno dal 1968 al 1971, anni in cui Presidente del Consiglio era Giovanni Leone e Mariano Rumor, i ministri della Difesa coinvolti anch’essi, Luigi Gui e Mario Tanassi. Tutti travolti, spazzati via insieme il Capo di Stato Maggiore dell’Aeronautica Duilio Fanali e al presidente di Finmeccanica Camillo Crociani, anch’essi coinvolti. Leone soprattutto, indicato da Kotchian come il nome in codice “Antelope Cobbler”. Leone che era dal 1971 il presidente della Repubblica. Gli atti dell’inchiesta vengono acquisiti dal Parlamento, che istituisce una Commissione d’inchiesta.

Lockheed cosa è accaduto?
Lockheed il ricordo (ANSA) CronacaeDossier.it

Le risultanze della commissione vengono discusse in Parlamento, si inizia il 3 marzo 1977, proprio nel giorno in cui uno degli Hercules pietra dello scandalo, cade vicino Pisa causando la morte di 44 militari a bordo. È la bagarre, si maledice a mezzo stampa e nelle sezioni dei partiti d’opposizione quell’acquisto, il processo non è ancora giudiziario ma politico, contro la Democrazia Cristiana. Aldo Moro è rabbioso e difende tutti gli uomini del partito coinvolti con la storica frase: «Ci avete preannunciato il processo sulle piazze, vi diciamo che noi non ci faremo processare!». Ma il colpo è alla credibilità del suo partito è terribile. L’opinione pubblica condanna senza appello. Camilla Cederna con il suo libro Giovanni Leone – La carriera di un Presidente costringe la Feltrinelli, tra marzo e luglio 1978 a ben 21 edizioni di ristampa, decretando la fine politica ed ingloriosa del Capo dello Stato, che si dimetterà a giugno, unico nella storia della Repubblica.

La sentenza inappellabile

Nel 1977, ricevuti gli atti della Commissione parlamentare, la Corte Costituzionale inizierà un processo, anche questo unico nella storia della giovane e già così travagliata Repubblica. La presiede Paolo Rossi, che il 1 marzo 1979 legge la sentenza che per il tipo di Corte che la sentenzia è inappellabile. La Corte assolve Luigi Gui, condanna Mario Tanassi «colpevole del reato di corruzione per atti contrari ai doveri d’ufficio, aggravato». Due anni e quattro mesi di reclusione e Lire 400.000 di multa; condanna lieve, un soffio appena, sufficiente soltanto a rovinargli la carriera politica e null’altro. Oltre a Tanassi, condannati anche il generale Duilio Fanali e Camillo Crociani, in contumacia sulle spiagge di Acapulco, dove morirà l’anno dopo.

L’accusa più chiara, per la Corte, è quella di aver danneggiato in primis la FIAT e il suo G-222, escluso dalla gara a suon di tangenti per salvare i posti di lavoro della catena di montaggio della Lockheed, mentre gli operai della fabbrica torinese erano mandati in cassa integrazione a zero ore.

E Giovanni Leone? Il Presidente, dopo tante riletture del processo, delle carte americane e delle revisioni giornalistiche sul caso più controverso della prima Repubblica, ebbe verificata l’insussistenza delle accuse nei suoi confronti. Emma Bonino e Marco Pannella, dopo vent’anni, nel 1998, in occasione dei suoi 90 anni gli scrissero una lettera di scuse. Lui non c’entrava nulla, travolto dal ciclone Lockheed orchestrato dai suoi compagni di partito, aveva scelto il silenzio come risposta, eclissandosi tra le sue carte e i suoi libri. Testimone muto dell’inizio della fine di quella stagione, di quel partito.

di Mauro Valentini

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