Il caso di Lugano riaperto da una madre-investigatrice
La morte del notaio suicida che diventa un possibile delitto di ‘ndrangheta: il caso di Lugano riaperto grazie alle indagini private della madre della vittima
Il 5 dicembre 2011 il notaio svizzero Daniele Borelli, classe ’63, viene ritrovato impiccato nella propria abitazione, dando il via al caso di Lugano. La notizia passa quasi sotto silenzio nonostante molti elementi lascino intendere una verità diversa. I capelli sono bagnati, i pugni serrati e il viso mostra diversi ematomi. Dalla bocca semiaperta manca qualche dente. Davanti ha una scaletta bianca girata dalla parte opposta del corpo che complica terribilmente suicidarsi. Quel che si sa da subito è che già dal 2010 su Borelli indagavano i magistrati di Milano e Reggio Calabria. Al centro gli interessi della ‘ndrangheta con la cosca Gallico di Palmi, da una parte, e la famiglia Valle-Lampada dall’altro, che i magistrati sospettavano essere i tentacoli in Lombardia della potente famiglia Condello. L’ipotesi era che l’avvocato Vincenzo Minasi e il notaio Borelli lavorassero di
concerto per creare trust societari blindatissimi, al fine di occultare il denaro dei clan. Tutto ciò sarebbe passato per la società Zenas, con sede nel Delaware (Stati Uniti), acquirente di terreni per oltre 100.000 euro. Per i magistrati Borelli sapeva con chi aveva a che fare e il 30 novembre 2011 erano scattati gli arresti e le perquisizioni. Poche ore dopo, mentre Minasi era finito in carcere con l’accusa di concorso esterno, Borelli era tornato nel suo appartamento di Lugano. Poi, il 5
dicembre, la morte. Suicidio, si era detto, ma stranamente il caso di Lugano subisce la “blindatura” della Polizia federale. All’epoca, nessuno mette in discussione la tesi ufficiale. Però che questa storia scottasse parecchio lo si deduce oggi da alcune anomalie, autopsia in primis. Già alle 14.00 del giorno della morte, l’Istituto cantonale di patologia di Locarno autorizza l’autopsia senza che siano trascorse le canoniche 24 ore previste per legge. Del suicidio non è mai stata convinta la madre di Borelli che, l’8 novembre 2012, fa riaprire il caso di Lugano ottenendo la riesumazione del cadavere, con un risultato clamoroso: dal corpo mancano il cervello, il cuore, un rene e l’intero stomaco. La scoperta cambia parecchie cose a cominciare dall’espianto, avvenuto durante l’autopsia senza alcun consenso. Si ipotizza la manomissione di cadavere e la violazione del regolamento mortuario, a cui si aggiunge il falso in atto pubblico. Il 16 maggio scorso l’affaire è all’attenzione del Ministero pubblico di Lugano, del Consiglio di Stato, delle procure di Varese, Milano, Reggio Calabria e avvalora nuovamente l’ipotesi di un omicidio fatto passare per suicidio. Emerge così che non tutti i testimoni sono stati identificati e solo in pochissimi ascoltati. Inoltre l’autorità giudiziaria fornisce un cd con le fotografie scattate nell’appartamento del notaio. In quei pochi scatti, ingranditi, si vedono chiaramente gli ematomi sul volto e i denti mancanti, indicatori di una violenza subita. Ecco quindi la denuncia contro ignoti per questa morte inizialmente liquidata come suicidio. Dopo l’inerzia della prima ora, forse sapremo la verità.
articolo di Paola Pagliari
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