Delitti&Neuroscienze, la strana coppia
La variante genetica come attenuante per le responsabilità penali: le neuroscienze sono fondamentali per studiare il rapporto tra la mente e il DNA
Viviamo nell’epoca delle grandi serie televisive, fantastichiamo lasciandoci coinvolgere dall’ultimo episodio della stagione di Dexter, di CSI o di Law & Order, i piccoli dettagli del mondo giuridico sono ormai entrati nelle case di ognuno di noi. Ma se mettiamo da parte per un attimo il panorama televisivo per concentrarci sull’arte del diritto reale, uno dei quesiti più caldi degli ultimi mesi è il domandarsi se sia giusto o meno inserire le neuroscienze nelle aule di tribunale.
Studiare i meccanismi alla base dei comportamenti umani è uno dei principali obiettivi delle neuroscienze, per questo oggi siamo in grado di capire la forte relazione che esiste tra il nostro patrimonio genetico e la nostra mente.
Da sempre siamo abituati a descrivere l’uomo come un essere in grado di intendere e di volere, il libero arbitrio ci dà la possibilità di scegliere come vivere e di rispondere responsabilmente alle nostre azioni, ma cosa accadrebbe se un giorno qualcuno ci dicesse che in realtà è il nostro cervello a dominare le nostre intenzioni? Non sarebbe semplice comprendere, ma non possiamo negare che in certe situazioni potrebbe risultare favorevole, soprattutto se siamo un imputato pronto ad essere condannato e le neuroscienze o la genetica potrebbero ribaltare completamente la nostra sentenza.
Caso Bayout, siamo nella Corte d’Appello di Trieste e l’imputato si vede ridurre la pena grazie ad uno screening genetico che ne identifica una variante specifica dell’enzima monoamina ossidasi A, che sembra predisponga gli individui che la esprimono a una maggiore aggressività rispetto agli altri. Successivamente nel 2011, il Tribunale di Como riduce di ben dieci anni la pena di una donna, condannata per omicidio, in seguito ad una diagnosi di disturbo dissociativo della personalità, legato a lesioni gravi di specifiche aree cerebrali, identificate mediante sofisticate tecniche di risonanza magnetica per neuroimmagini. Due casi diversi tra loro, ma entrambi accomunati dal fatto che siano la genetica del comportamento e le neuroscienze a giocarsi il ruolo di protagoniste, consentendo di ridurre la responsabilità penale di soggetti che altrimenti sarebbero considerati pienamente capaci di intendere e di volere il proprio agire da criminali.
La domanda di quanto sia effettivamente giusto introdurre le neuroscienze nelle aule di tribunale, a questo punto sorge spontanea. Studiare il cervello ci consente di capire come è fatta una certa area cerebrale dell’imputato, possiamo descriverne le anomalie, ma di certo non siamo in grado di spiegare se un deficit a livello neuroanatomico o neurofisiologico possa essere associato ad un delitto commesso. Non è un’immagine del nostro cervello a dirci chi siamo, come ci comportiamo e se utilizziamo in maniera giusta il nostro libero arbitrio. Nei casi più complessi di sentenze giuridiche non dobbiamo dimenticare che il ruolo di obiettore di coscienza resta sempre nelle mani del giudice, il quale può scegliere di ricorrere al metodo scientifico per rendere più sicura la sua sentenza. Nel frattempo staremo a vedere se l’Italia spalancherà le porte dei tribunali al mondo scientifico e se sarà in grado di coniugare delitti e neuroscienze.
articolo di Alessia De Felice
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