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Aldo Moro fu nascosto a via Fani come disse Gelli? Il ruolo del bar Olivetti

Le novità sulla morte di Aldo Moro e l’incrocio con le parole di Licio Gelli nella sua ultima intervista: il bar Olivetti potrebbe avere giocato un ruolo?

La morte di Aldo Moro torna prepotentemente d’attualità. L’assassinio dello statista della Democrazia Cristiana avvenuto il 9 maggio 1978 riserva ancora delle novità, tre per la precisione se si considerano le ultime settimane, alle quali però per la prima volta aggiungiamo le affermazioni di Licio Gelli. La nuova Commissione parlamentare presieduta da Giuseppe Fioroni sta raccogliendo informazioni di una certa importanza, a cominciare dalla richiesta di aiuto che proprio Aldo Moro inoltrò alla Digos.

L’episodio è datato 15 marzo 1978, nello studio dell’ex Dc, avvenuto appena dodici ore prima dell’attentato alla scorta con rapimento di Aldo Moro. A darne testimonianza è una relazione dell’ex dirigente della Digos, Domenico Spinella, nella quale esplicitamente Aldo Moro chiedeva protezione tramite l’urgente attivazione di «un servizio di vigilanza a tutela dell’ufficio di via Savoia». Quella relazione «venne però “post-datata” ̶  ha affermato il presidente Fioroni rendendo noto quanto scoperto dalla Commissione ‒, dalla quale apprendiamo con certezza che Moro, poche ore prima di essere colpito, aveva chiesto tutela.

Nella relazione è scritto che non avrebbe chiesto aiuto per sé e per la sua scorta ma per il suo ufficio. Ma oramai sappiamo che Moro era preoccupato per sé e non per le sue carte. Come confermato da altri dati: per esempio abbiamo appreso che in quei giorni il maresciallo Leonardi chiese improvvisamente più caricatori e altri particolari emergeranno prossimamente». Insomma era nell’aria che qualcosa fosse in procinto di accadere. D’altra parte l’allarme era già scattato grazie ad un telegramma spedito a Roma da Beirut e datato 17 febbraio 1978, un mese prima del rapimento di Aldo Moro.

Nel documento si fece esplicito riferimento ad un patto segreto volto ad escludere l’Italia da piani terroristici, ma anche «per informazioni riguardanti operazione terroristica di notevole portata programmata asseritamente da terroristi europei, che potrebbe coinvolgere nostro Paese». Ad inviare il telegramma era stato il colonnello Stefano Giovannone, già ufficiale del SID e poi del SISMI, in quel periodo responsabile dei servizi segreti italiani in Libano.

Il sequestro in Via Fani

La seconda novità si concentra ancora su via Fani, dove Aldo Moro venne sequestrato. Tutt’altro che secondaria potrebbe essere stata la funzione del bar Olivetti. Anche su questo punto la Commissione intende fare piena luce. «Suscita sconcerto la totale assenza di indagini sul bar e sul suo amministratore Tullio Olivetti ‒ scrive la Commissione stessa ‒ noto agli atti della Polizia di prevenzione per essere stato coinvolto in una complessa vicenda di traffico internazionale di armi». L’uomo fu inoltre «citato in una corrispondenza con la Questura di Bologna relativa alla presenza nei giorni antecedenti la strage alla stazione del 2 agosto 1980. […] La gravità di simile omissione non risulterebbe attenuata anche se si dovesse accertare che nessun legame esiste tra il caso Moro e il complesso intreccio di interessi, tra intelligence, criminalità organizzata, ambienti dell’eversione, massoneria e terrorismo internazionale che ruotava attorno alla figura di Olivetti e alle sue frequentazioni».

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Aldo Moro nascosto in Via Fani? – Credit: ANSA – Cronacaedossier.it

È qui che però va fatta un’annotazione. Su via Fani anche Licio Gelli aveva speso parole nella sua ultima intervista che noidi Cronaca&Dossier abbiamo riassunto in quest’articolo. Secondo il Venerabile, Aldo Moro sarebbe stato portato da via Fani a breve distanza. «Secondo me Aldo Moro fu portato a 100-150 metri da via Fani ‒ aveva detto Gelli nell’intervista ‒, in uno di quei garage sotterranei e lì tenuto per una decina di giorni». Un suo parere, certo, ma che ora potrebbe trovare un punto d’incontro interessante con le novità della Commissione.

In particolar modo potrebbe non essere del tutto “folle” l’ipotesi che in realtà sia stato “prudentemente” nascosto a via Fani o nei dintorni per far sì che le acque si calmassero per poi spostarlo. Per farlo sarebbe servito un covo, un luogo sicuro: forse il bar Olivetti? Quella di Licio Gelli era stata solo una banale supposizione?

Si giunge così alla terza novità in ordine cronologico nel caso Aldo Moro: la foto del quotidiano Il Messaggero che mostra Antonio Nirta in via Fani il 16 marzo 1978. Sarebbe lui l’uomo in una foto scattata quel giorno e per la quale furono fatte pressioni dalla Calabria per via del contenuto della stessa. A denunciare il fatto fu nel maggio del 1978 Benito Cazora, allora deputato Dc, il quale fece presente che «dalla Calabria mi hanno telefonato per informarmi che in una foto presa sul posto quella mattina, si individua un personaggio a loro noto».

Le indagini della Commissione, riconoscendo Nirta, hanno messo assieme pezzi sparsi giungendo alla conclusione che le pressioni vennero dalla ‘ndrangheta perché Nirta ad essa legato; ma Nirta era uomo dei servizi segreti così come nel 1996 venne fuori da alcuni pentiti (tra i quali Ubaldo Lauro) nell’ambito del processo sulla morte del giornalista Mino Pecorelli.

Cosa sia accaduto a via Fani in relazione al caso Aldo Moro è ormai il focus dell’indagine della Commissione, momento centrale che potrebbe portare alla luce che assieme alle Brigate Rosse agirono anche uomini della ‘ndrangheta, anche solo per compiti di supervisione; uomini che lavoravano per i servizi segreti italiani e che sapevano cosa sarebbe accaduto quella mattina.

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