Caso Macchi, trovata l’arma del delitto?
Incredibile svolta nel caso Macchi: potrebbe essere stata ritrovata l’arma del delitto dopo quasi trent’anni
Potrebbe essere l’inizio della fine per il caso Macchi, ormai lungo quasi trent’anni. Gli agenti della squadra Mobile e i genieri dell’esercito, dopo numerose ricerche con l’ausilio di metal detector e geo scanner, hanno lasciato il Parco Mantegazza di Varese con ben sette sacchi pieni di oggetti di ferro, usurati e arrugginiti. Uno di questi sacchi potrebbe essere quello buono per le indagini: sono stati ritrovati infatti ben sei coltelli e un falcetto. La ricerca comunque non è ancora terminata, dato che il sequestro dell’area è stato prorogato in quanto sono necessari altri accertamenti. Una svolta incredibile per quello che sembrava a tutti gli effetti essere un cold case senza soluzione fino a un pochi mesi fa.
È grazie a Patrizia Bianchi, oggi donna 45enne, se le indagini sono ripartite. Quando Lidia Macchi venne barbaramente uccisa, nel gennaio del 1987, gli investigatori non arrivarono a un colpevole e il caso venne via via abbandonato, nonostante una misteriosa lettera giunta alla famiglia poco dopo la morte di Lidia e intitolata “In morte di un’amica”. Ebbene, poco più di un anno fa la signora Bianchi vede la lettera pubblicata su un giornale e riconosce la scrittura di Stefano Binda: tanto basta per far ripartire con forza le indagini che portano all’arresto di Binda lo scorso 15 gennaio. Nonostante un alibi che vacilla e le voci dell’aiuto di un prete, ancora non ci sono certezze sull’omicidio, anche perché manca l’arma del delitto.

È ancora grazie a Patrizia Bianchi che il caso Macchi non si arena: la donna riferisce agli investigatori di un incontro con Binda risalente a qualche giorno dopo l’omicidio. Il ragazzo sarebbe passato a prenderla in auto e nel tragitto verso la loro destinazione si sarebbe fermato nei pressi del Parco Mantegazza. Secondo la testimone sarebbe sceso con un sacchetto di plastica che «[…] sembrava pesante. Mi diffidò dal toccarlo». Al suo ritorno il sacchetto era sparito. Gli inquirenti hanno dato credito alla testimonianza della signora Bianchi e sono quindi partite le ricerche, che proprio nelle ultime ore hanno dato i primi risultati. Starà ora all’antropologo forense nominato dal sostituto pg di Milano Carmen Manfredda effettuare le analisi necessarie sugli oggetti ritenuti più importanti dalle forze dell’ordine. La speranza degli inquirenti è quella di trovare un’arma che abbia ancora tracce di sangue di Lidia Macchi ed, eventualmente, di Stefano Binda: in quella circostanza non ci sarebbero più dubbi sulla dinamica omicidiaria, e il caso Macchi potrebbe definitivamente passare da “cold” a “risolto”.
articolo di Nicola Guarneri
Resta sempre aggiornato! Segui Cronaca&Dossier con un Mi Piace su Facebook e Twitter